Il commercio libero nel mondo globalizzato è indubbiamente una grande conquista dei nostri tempi. Succede così che i formaggi Italiani vengono realizzati con il latte di mucche e pecore straniere. Se la pasta Italiana è di qualità, si legge sulla confezione: origine Australia, se viene venduta al discounter, si legge: UE e non UE, ovvero origine di fantasia. Il consumatore capisce così che l’origine australiana è un segno di qualità. Nel frattempo i contadini locali, abbandonano le coltivazioni perché la rendita dal grano locale è minore delle spese per coltivarlo. Domanda: Ma quanto costa fare viaggiare il grano da una parte all’altra del mondo? E quanto costa all’ambiente una megapiantagione industriale in Australia, capace di fornire il grano per mezzo mondo? E se si cambiasse registro, dobbiamo morire tutti di fame perché il suolo Italiano non è capace di sfamare la popolazione residente? Una grande nave container inquina quanto 100.000 automobili, ma nessuno protesta perché passa molto lontano. Nel momento che leggete queste righe, più o meno 20 milioni di container sono in viaggio per mare. Non mi disturba il pensiero che beni duraturi e di valore, viaggiano da una parte all’altra del mondo, ma se penso che la birra cinese costa meno della Moretti, mi vengono i brividi. Non riesco a gettare via la bottiglia vuota che ha viaggiato per migliaia di chilometri senza un profondo senso di disagio. Due sono le possibilità: O il mondo è completamente impazzito, oppure lo sono io. Da una parte ci lamentiamo per i cambiamenti climatici e ci ubriachiamo di parole alla moda come il “green deal” e dall’altra partecipiamo allegramente e in prima linea alla distruzione del nostro pianeta. Sì è vero, è bello pensare alla libertà di commercio, ma i prodotti di prima necessità, in primis, gli alimenti non devono venire dall’altra parte del mondo, solamente per avere un piccolo vantaggio di prezzo alla cassa del supermercato. Il prezzo vero di questo pazzo mondo, prima o poi lo paghiamo tutti, magari in futuro. I nostri nipoti ci odieranno per la scellerata miopia con la quale distruggiamo il loro mondo per una birra cinese o per un bicchiere di latte di balena.
Eppure sarebbe facile invertire la rotta. Come sempre tocca per prima a noi consumatori di diffidare della bella pubblicità e del prezzo basso, ma è difficile perché siamo tutti drogati di consumismo impulsivo. La politica ci dovrebbe servire d’aiuto. Nella nostra società ci siamo inventati migliaia di regole, di divieti e di multe, ma non siamo capaci di indicare una via sostenibile per garantire alla nostra razza di sopravvivere i prossimi cento anni.
La nostra attuale politica è tutta da buttare. Questo perché tutti vogliamo solamente vedere il migliore prezzo alla cassa di oggi e seguire coloro che lo promettono. Meglio un ovino oggi che una gallina domani. Le tasse servono per finanziare i servizi offerti dalla comunità e per incentivare o scoraggiare certi comportamenti. Per ogni proposta di cambiamento, c’è pero sempre un argomento contrario valido. Quando l’uno vuole vietare le posate di plastica, l’altro obietta, che ci sono molti posti di lavoro legati a tali produzioni. Hanno tutti due ragione. E’ la politica che deve dare priorità all’uno o all’altro. Le tasse dovrebbero essere misurati all’impatto ambientale dei prodotti. Se a queste condizioni, la birra cinese costasse ancora meno di quella locale e se si riuscisse perfino di praticare il vuoto a rendere con la Cina, vorrebbe dire che l’umanità ha realizzato il miracolo del perpetuo mobile e che i produttori locali non hanno capito niente. Fortunatamente qualcosa si muove. I partiti classici di destra e di sinistra stanno lentamente scomparendo per mancanza di prospettiva e i movimenti verdi e ambientalisti crescono anno dopo anno. Speriamo solo che gli equilibri di potere cambiano abbastanza veloce da poter dare un freno decisivo al nostro pazzo mondo consumistico prima che sia troppo tardi.
Per cominciare basterebbe un chiaro segnale da parte della politica (ovvero da parte di noi consumatori). Capisco che il salmone viene da lontano e se lo voglio proprio mangiare devo pagare molto, compreso l’impatto ambientale dell’allevamento e del trasporto fino sulla mia tavola. Con la birra cinese il discorso cambia. Non ha niente di particolare oltre al prezzo basso. Certo, esistono tante birre speciali, che giustamente hanno un alto prezzo, ma non mi pare che questo discorso vale anche per la birra del fast food low cost cinese.
Con l’acqua il discorso diventa addirittura grottesco. Lo sapevate che in America in ogni ristorante di categoria superiore si può bere acqua minerale originale italiano? L’Italia infatti esporta milioni di bottiglie di semplice e banale acqua ogni anno in tutto il mondo. Nessuno dei consumatori è capace di distinguere il sapore dell’acqua italiana da quella di fonte americana. Il successo di quella italiana si basa tutta sul beneficio immaginario creato dalla comunicazione. Alle persone piace essere presi per i fondelli, ma visto che il mondo intero paga per tanta stupidità, non lo trovo poi così divertente.
Come si dice a tavola? “Salute!“