Per primo, quello tedesco (Haydn 1797). Inizia con “Deutschland, Deutschland über alles, über alles in der Welt”, ovvero “Germania, Germania sopra tutto nel mondo”. Ebbe una triste storia legata al periodo del terzo Reich, tanto che dopo la guerra fu vietato per legge di cantare la prima strofa. Oggi inizia così: “Unità, giustizia e libertà per la patria tedesca!” Insomma sempre questa brutta parola sessista: patria, la terra dei padri.
Esaminiamo allora quella italiana (Mameli 1847) che inizia con “Fratelli d’Italia”. Anche qui mi vengono i brividi, di paura. L’inno insiste poi con: “Siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò.” Io personalmente non sono pronto a morire per qualsiasi patria e mai vorrei dover cantare questi inni. L’esortazione agli italiani, intesi come “fratelli patrioti”, a combattere per il proprio Paese deve essere considerato nel contesto storico che oggi pero sfugge alla maggioranza delle persone.
Parliamo allora dell’inno Europeo (Schiller 1785), Intanto mi piace già il titolo, “Inno alla gioia”. Il testo descrive l’ideale tipicamente romantico di una società di uomini legati tra loro da vincoli di gioia e amicizia universale. Il diffuso umanesimo di quei tempi, mirava all’integrità dell’individuo, che in pieno accordo con la società, avrebbe potuto attuare quell’armonia spirituale che segna l’inizio di un rinnovamento dell’umanità. Insomma, il trionfo della fraternità universale sulla disperazione e la guerra. Sarà il cuore a guidare l’uomo mediante le leggi morali insite in lui. La legge dell’amore stringerà tra loro gli uomini secondo un ordine mirabile perché non determinato da cieca necessità, bensì da libera elezione. In questo, l’inno alla gioia somiglia molto a “Imagine” di Lennon.
La canzone divenne celebre perché Beethoven la inserì nella nona sinfonia, eseguita per la prima volta a Vienna davanti a un pubblico in delirio nel 1824. Il grande genio musicale, a quei tempi, era oramai completamente sordo da diversi anni e perciò non poteva dirigere l’orchestra. Lui era comunque presente sul palco e, nascosto in un angolo, dirigeva il suo capolavoro con gesti furiosi, ma completamente fuori tempo, tanto che ai musicisti prima del concerto fu raccomandato di non seguire i movimenti del maestro. Quando il concerto finì, lo dovettero strattonare e girare verso il pubblico perché lui continuava ancora a dirigere la musica che aveva nella testa.