Purtroppo ho assistito a queste trasformazioni nei parenti prossimi e in molti amici che mi sono trapassati davanti.
Incontravo raramente mia madre, perché abitavamo a grande distanza e quando andavo a vistarla, li dedicavo tutto il tempo a disposizione. All'inizio erano solo baci e tenerezze, ma già il secondo giorno iniziava a scovare in quelle antiche ferite mai guarite, che ci avevano sempre tenuti a distanza. Si dice che una certa rigidezza mentale è dovuta al deterioramento fisico del cervello, ma io credo che è più una scusa per non doversi mai interrogare sul passato che potrebbe svelare errori inconfessabili e infrangere quella bella immagine compiaciuto che con gli anni ci costruiamo addosso. Succede così che diventa inutile discutere, tanto, non esiste nessun interesse ad abbandonare le proprie posizioni.
E' la paura della morte, che come tutte le paure, incattivisce l'anima e con l'avvicinarsi del fatidico momento il malcontento aumenta. Una volta avevamo la speranza nel paradiso per placare le ansie, ma nel mondo moderno, il mito della giovinezza eterna è la nuova religione. L'ossessione della fine in agguato incute più terrore dell'l'inferno di una volta.
La nostra popolazione diventa sempre più anziana con i vecchi saldamente al potere; sono loro che occupano tutti gli spazi e avidamente rubano il futuro ai giovani. Una volta, l'aspettativa della vita media non superava i quarant'anni, ma oggi si proclama il diritto di vivere fino a cent'anni. Il Giappone è il paese con la più lunga aspettativa di vita con una concezione della società molto diverso dalla nostra. I vecchi, si tolgono di mezzo, compiono un harakiri di massa. I nostri anziani di una volta potevano godersi la posizione raggiunta. In un mondo statico e senza cambiamenti, erano i saggi consiglieri che tramandavano il sapere alle generazioni future. I giovani d'oggi studiano sul telefonino e considerano gli anziani degli inutili stolti, sanguisughe della società che oltre tutto hanno la pretesa di essere accuditi amorevolmente.
Racconto questa storia sulla vecchiaia nella speranza che, avendo sempre in mente la nefasta profezia sulla cattiveria, riesca ad aggirare il brutto epilogo in agguato.
Ho avuto un maestro della vita, ma ancora di più della morte. Ci ha lasciato a 73 anni, molto giovane, secondo i canoni di oggi, e la morte gli fu annunciata con due anni di anticipo. Ha vissuto gli ultimi mesi con una invidiabile, allegra leggerezza, invaso da una creatività inarrestabile. Era il periodo del lockdown Covid e ci potevamo vedere solo di rado. In una delle interminabili sedute telefoniche è stato proprio lui a parlarmi della cattiveria dei vecchi e secondo il suo sarcastico giudizio, ad un certo punto era forse meglio, eliminarli fisicamente.Lui ha avuto la fortuna di essere accudito amorosamente da quattro donne fino all'ultimo respiro: la compagna, la figlia, l'allieva e l'amante. Avevano sospese le loro vite per molti mesi per quel ultimo atto d'amore, ma erano compensati dalla sua luminosa saggezza. La sera prima della morte, celebravano una cena come si usa nelle grandi occasioni e lui mi chiamò per un ultimo saluto. Scherzando come sempre, disse che oramai il suo corpo si stava disintegrando definitivamente ed era arrivato la fine. Rimasi ammutolito perché non trovavo le parole adeguate. Aveva sempre dichiarato di voler morire con un'overdose di morfina, somministrata da una persona cara. Non voglio sapere se così fu, perché in Italia la morte assistita, costituisce reato. Aveva con se però il libro tibetano della morte che mi fece conoscere in gioventù, quel libro che suggerisce al defunto, di non prendere la vita troppo sul serio.