20 Settembre 2023
Ansia
Di questi tempi i media parlano molto delle nuove forme di disagio psicologico. I giovani soffrono di "eco-ansia" e "fly-shame", mentre tra gli adulti è comparso una nuova malattia, il "burn-out", sconosciuta fino a poco tempo fa.
Gaia
Dea primordiale che rappresenta la potenza divina della Terra, dall'inesauribile forza creatrice è considerata nella religione greca l'origine stessa della vita. (Wikipedia)
Di questi tempi i media parlano molto delle nuove forme di disagio psicologico. I giovani soffrono di "eco-ansia" e "fly-shame", mentre tra gli adulti è comparso una nuova malattia, il "burn-out", sconosciuta fino a poco tempo fa.
Mio padre è cresciuto in una tipica famiglia tedesca dell'era fascista dove regnava ordine e obbedienza. Le tenerezze erano bandite e sostituite da attività sportive esagerate, tipo correre per ore a piedi nudi nella neve per diventare più duri e forti. Ne è uscito un personaggio con tratti quasi autistici che non mostrava mai un affetto. Solo mia madre riusciva ad amarlo.
Quando aveva 17 anni, il liceo che frequentava fu chiuso e lui spedito sul fronte di guerra. L'arruolamento di ragazzi e vecchi era chiamato "Volkssturm", ovvero "tempesta del popolo". In realtà dietro a quella sigla eroica si nascondeva il fatto che Hitler aveva finito i soldati. Arrivò così nell'attuale Slovenia ad affrontare l'avanzata dei russi. Fu subito ferito gravemente da una scheggia di granata e preso prigioniero. I russi non erano attrezzati per curarlo. Loro avrebbero amputato la sua gamba e poi sarebbe stato spedito verso la Siberia, così come successe a tutti suoi compagni di sventura, dei quali nessuno torno indietro. La ferita si rivelò però una fortuna. A pochi chilometri di distanza era accampata l'armata americana con medici e ospedali da campo. Per pura comodità, i russi lo consegnarono perciò agli americani. Fu curato e quando tornò in piedi la guerra era appena finita e lui fu libero. Non esistevano più infrastrutture di trasporto, così per tornare a casa si mise in marcia a piedi, sorreggendosi con le stampelle. Non aveva più vestiti e sotto un vecchio e pulcioso cappotto militare, era completamente nudo. Dopo un paio di mesi di viaggio e in fin di vita arrivò infine a casa.
Non ho mai parlato con mio padre e lui comunque non faceva accenni a nessuno degli avvenimenti durante la guerra. Ho appreso la storia solo dopo la sua morte da mia madre. L'altra mia persona di riferimento, ovvero il padre ideale che avrei sempre voluto avere e con il quale parlavo molto, era lo zio. Spesso gli ho chiesto di raccontarmi dei tempi della guerra, ma anche lui non ne voleva parlare. Quello che sono riuscito a sapere da varie fonti è la seguente storia.
Lo zio entrò a 16 anni nella gioventù della SS. Questo perché, da quando era bambino, adorava le loro belle uniformi pulite e stirate, mentre lui camminava scalzo e si vestiva di stracci. Anche lui fu spedito sul fronte a soli 17 anni, ma nella direzione opposta di mio padre, verso il Belgio, dove partecipò all'ultima operazione bellica tedesca. Insieme ai suoi compagni avanzava dietro ai carri armati, sparando a tutto quel che si muoveva e facendo terra bruciata tutt'intorno. Finì anche lui in prigionia, gravemente malato di tifo.
A mia madre piaceva parlare delle sue avventure giovanili. Come tutte le ragazze tedesche di quei tempi dovette prestare servizio civile e fu assegnata a una grande fattoria agricola. Di nascosto venivano somministrate medicine sperimentali a base di ormoni che bloccavano il ciclo mestruale, che era ovviamente un inconveniente durante i duri lavori nei campi. Più tardi iniziò un apprendistato da sarta in un paese nelle vicinanze. Si spostava in bicicletta e doveva fare attenzione agli aeroplani da caccia inglesi che regolarmente pattugliavano a bassa quota le strade di campagna. Non appena sentiva un rumore, lei si gettava nel fosso lungo la strada per salvarsi la vita. Di notte poi vedeva passare migliaia di bombardieri sopra la testa, in viaggio verso le vicine città e le fabbriche del bacino carbonifero della Ruhr, dove il cielo si trasformava in un unico grande fuoco che riempiva la vista da orizzonte a orizzonte.
La zia è stata sfortunata, era tedesca, ma la sua famiglia viveva in una parte del Est Europa, che ai tempi della guerra era stata ammessa alla grande Germania. Visto il male che aveva recato il fascismo a quelle popolazioni, dopo la guerra, tutti i tedeschi venivano cacciati o uccisi. Lei fu imprigionata in un campo di lavoro forzato, controllato dai russi. Le condizioni erano durissime e la vita dei prigionieri valeva quanto un tozzo di pane. Tornò in libertà solo dopo molto tempo agli inizi degli anni '50.
Della generazione dei miei genitori, tutti avevano da raccontare storie molto simili tra loro e tuttavia loro mostravano una grande fiducia nell'umanità e nel futuro. Mi sono sempre chiesto come ci riuscivano, dopo tutti quegli incubi vissuti. C'era tanta voglia di dimenticare e di ricominciare. Un mondo da ricostruire e un miracolo economico li aspettava. Avevano davanti una vita serena e una crescita che pareva infinita. Loro che erano cresciuti sotto i dogmi del fascismo hanno visto i lati più terribili dell'essere umano e non si facevano molte domande su libertà e senso della vita. Hanno vissuto felici perché quello che avevano li sembrava già tanto.
Io sono arrivato venti anni dopo la grande guerra, al culmine del periodo di crescita felice. Timori per la sicurezza economica nel futuro erano l'ultima preoccupazione della mia generazione. Ai tempi di liceo parlavamo dei nostri progetti per la vita e qualche mio compagno espresse la volontà di entrare nella polizia o di diventare ferroviere. Non servivano concorsi e graduatorie, bastava la semplice domanda per essere subito impiegato in un bell'ufficio statale garantito a vita. Io rimanevo inorridito e mi domandavo, come può un giovane accontentarsi di una strada che già dal primo giorno ti segna il percorso di tutta la vita fino alla pensione?
Da parte mia non avevo nessun progetto di cosa fare nella vita. Volevo liberarmi di quella visione vecchia e autoritaria, rappresentata dai nostri genitori. Non volevo essere come loro. Volevo sperimentare la libertà e viaggiare. Il resto sarebbe poi arrivato da solo. I vecchi ovviamente non la pensavano così ed ecco che si accendeva il conflitto generazionale. Quando dissi allo zio che stavo per intraprendere un viaggio spirituale verso l'India, lui rimase sgomento e disse: "Fatti prima una posizione lavorativa nella vita, così in futuro potrai viaggiare in comodità e sicurezza." Ovviamente non ho seguito i suoi consigli e ancora oggi mi domando se ho sbagliato.
Passano gli anni e anch'io mi trovo dalla parte dei genitori. Non si sente più il conflitto generazionale. Genitori e figli si ritengono ugualmente giovani e si comportano come se fossero fratelli. I ragazzi vivono però un fenomeno del tutto nuovo, un'immensa sfiducia verso il futuro. Quello che a noi sembrava un mondo traboccante di possibilità, per loro è l'opposto. Si sentono in un vicolo cieco. Mentre noi deridevamo coloro che si presentavano ad un concorso pubblico, oggi si mettono in fila a migliaia per una vita da bidello. La sicurezza ha acquisito tutto un nuovo valore. Mi domando allora dove abbiamo sbagliato? Questa sfiducia verso il futuro è un sentimento giustificato oppure è solo un'isteria collettiva, indottrinato dai media che hanno creato un nuovo sindrome nevrotico, l'eco-ansia. I nostri genitori avevano motivi seri per essere sfiduciati verso il futuro, dopo tutti gli orrori che avevano vissuto personalmente, eppure erano sereni. Forse la paura è un sentimento tipico di chi ha già tutto e che in futuro potrà solo perdere qualcosa? Mi domando se i giovani immigrati in fuga dalla povertà, che speranzosamente arrivano in frotte sulle nostre coste, la pensano nello stesso modo? Forse serve la miseria per superare l'apatia? A volte mi stupisco davanti alla straordinaria forza di volontà dei migranti, che combattono con ogni mezzo per un futuro migliore.
Infine mi domando come la penseranno i figli dei nostri figli? Sicuramente nasceranno pochi figli autoctoni europei. Saranno una piccola parte di un groviglio etnico. E loro, avranno ancora meno fiducia nel futuro? Ora che rifletto sul fenomeno dell'ansia, comprendo perché i nostri figli rinunciano a riprodursi. Perché dovrebbero far nascere bambini in un mondo senza futuro?
Mi considero fortunato perché la mia generazione, quella dei figli dei fiori, ha sognato un mondo bellissimo. I giovani d'oggi per questo mi invidiano, eppure sono sicuro che nessuno di loro accetterebbe il cambio con il mondo di 50 anni fa perché questo implicherebbe di rinunciare a telefonini, internet e tutte quelle comodità della vita globalizzata. Rinunciare al progresso non è la soluzione dei problemi. Sarà allora quel mondo illusorio creato attraverso i filtri dei media, la fonte di tutta quella sfiducia, oppure i nostri genitori erano semplicemente sciocchi ad averci messo nel mondo perché non hanno riflettuto sul futuro.
La razza umana è brutta, i vecchi lo devono sapere. Forniteli gli strumenti di autodistruzione, li useranno con gioia. Consoliamoci, la storia della vita è costellata di eventi di estinzioni di massa. Hanno portato sempre un beneficio all'evoluzione e dopo ogni catastrofe la vita rinasce più forte e raffinata di prima. Speriamo che anche di noi, incalliti ottimisti, rimanga un seme da fare nascere a tempo debito in un mondo più bello, libero da tutti quei bruti e ignoranti che non meritano di fare parte del nostro futuro.
Ecco la musica per descrivere il mood con il quale affrontavamo noi il futuro: "When you ain't got nothing, you got nothing to lose." Bob Dylan dalla canzone Like a rolling stone.
Non tenete alle cose, partite dal basso, da zero insomma, così non dovete soffrire l'ansia di perdere.